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IN RICORDO DI MAURIZIO MANNELLI

Pubblicata il 28/05/2014
Hic primum nova lux oculis offulsit, et ingens
visus ab Aurora caelum transcurrere nimbus
(Aen., IX, 110-1)


La Canottieri Napoli ha perduto un pezzo della sua storia: proprio nell’anno del Centenario ci ha lasciato uno dei padri fondatori dello sport acquatico napoletano e nazionale, Maurizio Mannelli, tra i principali artefici dei mirabili successi che nuoto e pallanuoto giallorossi hanno ottenuto negli anni ‘50. Nato a Roma il primo gennaio 1930, si era trasferito con la famiglia a Napoli che era ancora bambino, ad annegare lo sguardo nel mare che ne determinò il destino. Siamo nel primo dopoguerra, piscine non ve ne erano ancora e nuoto e pallanuoto era discipline marinare per eccellenza; una leva natatoria aveva portato al Molosiglio tre giovanotti terribili: Alfonso “Fofò” Buonocore, Costantino “Bubi” Dennerlein, che a sua volta vi trascinerà il fratello Fritz, e lui, Maurizio Mannelli, che nel ’47 vince i Campionati Italiani juniores nei 200 stile. L’anno dopo è argento agli Assoluti su 100 e 200 stile; quindi, con i due amici citati più il genio di Gildo Arena, fa parte della staffetta 4 x 200, allora l’unica in programma, che per tre anni di fila, dal ’51 al ’53, trionfa agli Italiani; due volte (nel ’52 e ‘53) conquista inoltre nelle file della compagine giallorossa i Campionati Societari, la massima competizione a squadre dell’epoca. Nel frattempo, la pallanuoto lo aveva stregato: col la sfera in acqua mostrava notevole talento e faccia tosta; soprattutto, poteva esprimere il suo estro, gli impeti di un temperamento generoso, genuino, che si placava nella vittoria, giusto premio ai più valorosi. Nel ’48 guida la Canottieri in serie A, primo passo di una formidabile ascesa; si gioca ancora nella piscina in legno costruita al Molosiglio quando nel ’51 arriva il primo scudetto del C.C.N.: Arena, giocatore-allenatore, strappato ai cugini della Rari Nantes, inventa il modulo chiamato “arenema” per sfruttare le qualità natatorie dei suoi effettivi; tra questi, assieme a lui ci sono il lunghissimo portiere Renato Traiola, che aveva vinto un titolo italiano anche nel canottaggio, e le tre emme: Franco Monaco, il “Gran Capitano”, il centravanti (si diceva così) Maurizio Morelli, soprannome “o’ gatto”, ed il nostro, protagonista in tutte le partite decisive; segna una doppietta contro il Camogli (si vince 7-4), si ripete il 22 luglio contro i campioni in carica della Rari Nantes (successo per 5-2); tre reti centra nell’ultima gara con lo Sturla (7-3). Mannelli diviene inamovibile in Azzurro dal ’49 al ’56: nel ’52 guadagna il bronzo alle Olimpiadi di Helsinki con i compagni di Club Arena, Traiola e Polito; a questa medaglia aggiunge il bronzo degli Europei di Torino ’54 e l’oro ai Giochi del Mediterraneo nel ’55, quando non era più a Napoli: carattere non facile, aveva litigato con Bandy Zolyomy, nuovo allenatore giallorosso, ed era andato a vincere un secondo scudetto con la A.S. Roma, battendo due volte il C.C.N. ed infliggendo un dispiacere a Carlo Pedersoli, pilastro della favorita Lazio; ma proprio Mannelli, nel confronto diretto, lo ammutolisce, sciorinando le caratteristiche della nuova pallanuoto: la sera di ferragosto del 1954 nel derby capitolino Pedersoli segna due gol, ma “è surclassato dall’emergente Maurizio Mannelli”, come scrive il bardo delle piscine Aronne Anghileri; non poteva sapere il futuro Bud Spencer che il suo marcatore, oltre alle doti tecniche, possedeva già da ragazzino smisurata forza, ed era capace di disintegrare due grosse mele assieme stringendole contemporaneamente nella mano destra e nella sinistra. Era andato via per una ripicca, si sussurrò, ma era uno di quegli slanci delle nature volitive, che dalla vita cercano tutto, non si possono appagare e, spesso, non sono comprese. Però Roma non ha il mare e il primo amore non si scorda mai: il cuore restava giallorosso, pronto a tornare a casa.
I rapporti con l’alma mater si ricompongono così nel ’58, quando Mannelli Senior torna al Molosiglio per il secondo scudetto del C.C.N., quello delle tre coppie di fratelli (Dennerlein, Mannelli, De Stefano). Prima, aveva recuperato il fratello Luigi da un grave infortunio al piede, imponendogli, sotto la sua direzione, ore di allenamento con la tavoletta; il nostro Gigi si cingerà della medaglia d’oro ai Giochi di Roma ‘60. Il rientro alla base, il secondo titolo con la calottina giallorossa lo rendono socio Benemerito del nostro Sodalizio. Permane invece la ruggine con Zolyomy, che, avute le redini della Nazionale, lo estromette fin dalle Olimpiadi di Melbourne ’56.
Duttile, forte fisicamente ed atleticamente, su una solida base natatoria Mannelli aveva innestato la lettura del suo ruolo di difensore mobile e aggressivo; era in grado di irretire attaccanti pesanti o veloci, impostare come riferimento arretrato e proporre la sua azione con instancabile lena; quando avanzava a testa alta con la palla tra le braccia era inarrestabile, anche perché alla naturale vigoria coniugava un imprevedibile “dribblig”, virtuosismo che solo i migliori potevano permettersi. Abbandonato l’agonismo, si è dedicato alla professione di Ingegnere.
Ai suoi cari, al fratello Luigi, anch’egli nostro socio Benemerito, il quale, grazie alla testardaggine del fratello maggiore è diventato a sua volta leggenda della pallanuoto italiana, va il sentito cordoglio della famiglia giallorossa, che oggi con profonda commozione ricorda Maurizio Mannelli, pristina stella della pallanuoto della Canottieri, primo vero interprete del gioco moderno, trionfatore nei derby di due città, che fu anche il ragazzo che ammutolì Bud Spencer

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