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MESSA PER IL TRIGESIMO DEL PRESIDENTE BENEMERITO CARLO DE GAUDIO

Pubblicata il 21/09/2015
Nunc magna referte facta, patrum laudes
(Aen., X, 281)

Carissimi soci,
ad un mese dalla scomparsa del nostro beneamato Presidente Benemerito Comm. Carlo De Gaudio, con il cuore ancora colmo di dolore ed il suo ricordo fisso negli animi, comunichiamo che la messa per il trigesimo sarà officiata il prossimo giovedì 24 settembre alle ore 19,00 nella chiesa di San Gennaro in Via Bernini al Vomero.
Nell’accostarci alla solennità della celebrazione, ad un tempo ricordanza ed omaggio, riconoscenza ed ossequio, il sentimento che oggi ci pervade è lo stesso di allora, ci abbranca esterrefatti, ci compone in immobilità ancora incredula: “Attonita la terra al nunzio sta”. Personaggio straordinario, nel senso propriamente etimologico del termine, il Presidente Carlo De Gaudio ha riempito infatti del suo nome oltre cinquant’anni di successi sportivi della Canottieri, della città, della Nazione. L’epicentro da cui irradiare le poliedriche manifestazioni di una gagliarda personalità è stato sempre il nostro amato Sodalizio: una vita al Molosiglio è il titolo che lui stesso, nel libro del nostro Centenario, ha inteso stendere per connotare la sua vicenda terrena, sintetizzando gli impeti giovanili, le gioie provate come dirigente giallorosso in varie vesti, i trionfi della Presidenza, la saggezza degli ultimi anni quando, nume tutelare del Sodalizio, era stato acclamato Presidente Benemerito. Ma anche una vita nella sua Napoli, dove era nato il primo aprile 1928, la nostra nobile Patria che, contrariamente ad altre eccelse menti a lui contemporanee, non ha mai voluto lasciare, preferendo donarle il fulgore del proprio intelletto, il contributo della sua esperienza, l’attiva operosità volta al suo miglioramento. Della nostra terra recava, con forte rilievo, alcuni dei tratti più avvincenti: l’arguzia che sorprende, l’intelligenza che affascina, il genio che risolve, l’entusiasmo che conquista. Tali qualità dispiegò in sommo grado in ogni attività: imprenditore immaginifico, vittorioso dirigente sportivo, acuto uomo pubblico, inimitabile dirigente delle nazionali Azzurre di nuoto, pallanuoto, calcio. Ma soprattutto e prima di tutto fu sommo Consigliere e Presidente della Canottieri Napoli. Assieme ad un altro dei nostri Maggiori, Carlo Rolandi, il Presidente De Gaudio era l’ultimo, augusto rappresentante dell’età dell’oro della Canottieri, che aveva concorso a propiziare: il momento in cui, tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70, il Circolo del Molosiglio aveva definito il retto canone delle attività sportive, ergendosi, con mirabili affermazioni in tutte le discipline, a centro propulsore di idee innovative, a palladio di virtù agonistiche, a modello per gli altri Circoli marinari. Carlo De Gaudio sentiva ben solida, profonda, l’eredità di affetti e valori tramandata dai Quiriti giallorossi, rinverdita da riveriti nomi come Merlino e De Gregori, Cutolo e Gioffredi, Percuoco e Cappabianca: spiriti aristocratici che serbavano una concezione sacrale della Canottieri, come fosse il centro del mondo sportivo, la cittadella dove fioriva la più alta civiltà dello sport, al pari di quanto Atene poteva dirsi per la cultura classica. Forgiato in questa temperie, Carlo De Gaudio fu portatore dei valori più significativi della scuola giallorossa: lo sport come modulo di stile e comportamento, fondamento della formazione della persona, occasione per sviluppare ed esercitare ogni sua potenzialità nella tensione a comportamenti esemplari in armonia con la vita interiore. Nelle trasferte portava i suoi giocatori ai concerti, ai musei, poi li seguiva nel lavoro, li stimolava agli studi, a trovare la propria strada nella società civile.
E tuttavia, sapeva adeguare e rivisitare i principi giallorossi alla luce del moderno sentire, delle nuove esperienze che maturavano nei diversi settori. Sicché, se altri furono interpreti, anche sublimi, del loro tempo, Carlo De Gaudio fu anticipatore di idee, precursore dell’avvenire; proiettò sé stesso e la Canottieri nel futuro, con la ferrea convinzione di volere per il suo Circolo solo e sempre il destino migliore. Attinse così i fastigi dell’epoca in corso già iscrivendo i suoi brillanti progetti del tempo a venire, dove la sua azione si introduceva con più ampio respiro: l’impronta della tradizione giallorossa si spingeva nel programma di una nuova gloria. Tra i suoi tratti distintivi la lungimiranza, l’acume del ragionamento, la proprietà d’analisi: era sempre un passo avanti agli altri. Spirito eminentemente pragmatico ed antiretorico, convinto assertore dell’eloquenza che si concretizza nel costruire e realizzare, con Carlo De Gaudio il successo (sportivo, istituzionale, personale) acquistava l’autorità inoppugnabile del fatto compiuto che diveniva storia. Ingegno versatile, percorrendo tutta la trafila del cursus honorum delle cariche sociali giallorosse fin dalla precoce giovinezza, fu artefice magnifico del proprio destino, propiziatore di quello altrui: le sue virtù si rinnovavano ogni qualvolta si consacrava ad una novella impresa. Ed ecco immagini, echi che si susseguono, l’uno ingrandendo l’altro: il celebre ballo dei Re per le Olimpiadi della Vela nel ’60, al termine della quale il prestigioso quotidiano sportivo francese l’Equipe definì la Canottieri “Il più grande ed il più forte complesso nautico d’Europa”; la trasferta a Montecarlo per il record di Fritz nell’estate del ‘62, la feconda collaborazione con i fratelli Bubi e Fritz Dennerlein che favorì gli inarrivabili trionfi della squadra di nuoto allenata dal primo, la sfilza di scudetti conquistati sotto la guida del secondo, quando Napoli non poteva offrire ai suoi figli neppure una piscina coperta. In condizioni di oggettiva difficoltà propiziò veri e propri miracoli che furono alla base di ogni costruzione che seguì. Assurse alla massima carica sociale in un periodo difficile, nel post terremoto, quando serviva chi decifrasse le situazioni, reagisse ai problemi. Due volte Presidente (‘81-87, ‘89-93) componente del collegio dei Commissari (‘88), riportò al Molosiglio lo scudetto della pallanuoto dopo 11 stagioni e sotto la sua egida il canottaggio giallorosso si spinse ai più sontuosi livelli; fu precursore del tutoraggio degli atleti, estese il suffragio alle donne socie per poi schernirsi, con puntuale humor: “Qualche errore l’ho commesso anch’io”. Innovatore sì, ma attento al retto intendimento dei principi: quando la pallanuoto spingeva verso il professionismo si concentrò sui vivai, diede nuovo impulso all’accademia giallorossa che portò allo scudetto del ’90; e di nuovo, di fronte al sopravvenire di potentati economici che stavano alterando il gioco, seppe compiere dolorose rinunzie preservando la dignità dell’estrazione della Canottieri, l’orgoglio di appartenenza.
Dal Molosiglio volò quindi ad arricchire la gloria sportiva dell’Italia, cui permise di raggiungere, nel campo agonistico, le più elevate vette. Partì col nuoto, testimone delle prime medaglie italiana ad un Mondiale (Monaco ‘72); proseguì con l’argento del Settebello dei Giochi di Montreal ’76, il primo podio ai Mondiali di Calì ’76. Dovunque andasse, “Il marchese” (questo il suo nome di battaglia) cambiava le situazioni, tramutava tutto in oro. Lo compresero anche alla Federcalcio e gli affidarono la comitiva Azzurra ai Mondiali ’82. Fu un capolavoro. Dietro l’urlo di Tardelli, icona forse insuperata delle vittorie Azzurre, sintesi di un’Italia bella e vincente che esprime la velleità di tornare protagonista assoluta con lo sport elemento trainante, dietro quell’urlo liberatorio vi era il lavoro sagace, costante di chi conosceva nel profondo i sentimenti ed i moti umani, sapeva indirizzare gli avvenimenti, trovare le giuste risposte. “Tutore di Baerzot” lo definirono, espressione che sta stretta al caro Presidente De Gaudio, che di quella magica impresa fu artefice autentico; determinò l’humus perché si esplicasse, riuscendo a portare l’intero movimento calcistico (giocatori, staff, giornalisti, appassionati) su un livello consono al rango di campioni del mondo. Quale vita quella in cui un siffatto episodio, che da solo basterebbe alla grandezza di un uomo, al lustro di una Nazione, passa quasi in secondo piano !
Forse perché dedicò tutta le vibrazioni del suo ingegno al bene della Canottieri e nei nostri cuori giallorossi maggiormente risaltano i mille episodi di imprese e battaglie combattute e vinte per il Napoli. Mantenne distinzione e compostezza nella vittoria e nella sconfitta: mai il tifo per i suoi ragazzi, pur sentito, portò eccessi o sbavature, sempre fu cavalleresco con gli avversari, pronto a sottolinearne i pregi. Per i suoi allievi stravedeva, come un vero padre. Appena finita la mitica partita di Punta Sant’Anna nell’agosto ’73, lui che vi assisteva da Vice Presidente della Federazione e non poteva quindi manifestare sulle tribune la sua passione giallorossa, corse all’albergo dove dimoravano i suoi pupilli e, finalmente dismesse le vesti del dirigente federale, li potette abbracciare commosso confessando “Non vedevo l’ora !”. Con pari trasporto, fu il primo ad entrare nello spogliatoio della Scandone dopo la sconfitta nella finale della Coppa dei Campioni del ’90 per ringraziare i suoi ragazzi della dedizione, delle emozioni regalate, dimostrando che nella vita si può imparare anche dalle sconfitte ed anzi queste rendono più forti.
Fino agli ultimi giorni rivolse il suo impegno, le sue attenzioni all’amata Canottieri. Scendeva al Molosiglio accolto come un vate, appena poteva si recava alla Scandone per seguire la squadra di pallanuoto tornata in A1, per informarsi delle vittorie dei settori giovanili. Appoggiò con generoso trasporto la pubblicazione del libro del Centenario, partecipando anche alla sua presentazione nonostante il torrido caldo di luglio; in quella che fu purtroppo l’apparizione finale sulle terrazze del Circolo, si volgeva ai presenti con paterna benevolenza; ed allora si poteva cogliere nel suo sguardo rassicurante lo svolgimento completo di un’era della storia giallorossa e partenopea, in esso d’improvviso si rintracciavano gli slanci della giovinezza, balenava il fremito di antichi combattimenti, scorrevano le voci multanimi di grandi memorie, di ricordi e bellezze.
Sette tra i suoi “ragazzi”, consapevoli di aver vissuto, grazie ai loro Maestri, un’avventura umana straordinaria, lo hanno voluto accompagnare, un mese fa, nell’ultimo viaggio reggendo il feretro sulle spalle. Sette come una squadra di pallanuoto, il suo sport prediletto nel quale aveva ottenuto soddisfazioni massime; sette senatori a rappresentare generazioni infinite di allievi giallorossi per il cui successo Carlo De Gaudio aveva speso le sue vaste energie, e ritrovatisi testimoni del legame che persiste tra i Padri ed i figli, garanti del valore di tutto ciò che nell’esistenza rimane e non è caduco. Ché perfino il tempo non dissolve, anzi favorisce, la semina dei sentimenti e degli ideali che dagli Uomini Illustri vengono tramandati fascinosi, puri, intangibili. Gli ideali che continuano ad alimentare la nostra fede di giallorossi, la nostra speranza di cittadini napoletani che, rievocando il caro Presidente Carlo De Gaudio, possono comprendere come fino all’ultimo egli avesse ancora dinanzi agli occhi l’infinito avvenire. Il nostro.
Il Consigliere ai Rapporti con i Soci
Avv. Gian Nicola De Simone
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